Quando si atterra all’aeroporto di Xining si è già ad un’altitudine di duemila metri. Siamo nella parte nord-orientale dell’Altipiano tibetano. In questa provincia sconfinata della Cina nascono i fiumi Yangtze e Mekong, a nord troviamo le sorgenti del Fiume Giallo o “culla della civiltà cinese” il secondo più lungo del Paese. Il Qinghai è la storica provincia tibetana di Amdo e fa parte del vasto ed elevato altopiano dell’Asia centrale, il più alto e più vasto del mondo, con una superficie di 2,5 milioni di chilometri quadrati, otto volte l’Italia.
Qinghai è nota per il suo “lago azzurro” Koko Nor, il più grande lago di montagna con acqua salata, privo di emissario a 3500 m. di altezza sul livello del mare.
Questo immenso territorio, nei secoli, ha dimostrato come sia possibile la convivenza di numerose e diverse etnie. La maggior parte del territorio storicamente era parte della regione dell’Amdo dove tra l’altro è nato Tenzin Gyatso l’attuale Dalai Lama, nel 1928 divenne poi una provincia della Repubblica di Cina.
La popolazione del Qinghai conta meno di sei milioni di abitanti suddivisi in Han, Tibetani, Tu, Hui, Salar e Mongoli, incredibile ma vero.
Costeggiando il lago Koko Nor si trova Gongbao Dong, una grotta su una montagna meta di pellegrinaggio dei tibetani fin dai tempi remoti. La credenza popolare afferma che entrando nella grotta si passa direttamente in India, terra originaria del Buddismo. Il pellegrinaggio lo celebrano ogni 60 anni. Molti fedeli tibetani, uomini, donne con vecchi e bambini percorrono centinai di chilometri a piedi, alcuni adepti solitari, particolarmente devoti, avanzano stendendosi a terra pregando per tutto il tragitto, nonostante le distanze impressionanti.
Come in tutto il mondo e per tutte le religioni, si sviluppano accanto alle vie sacre e ai centri di culto, molte attività commerciali a supporto dei pellegrini. Ad esempio sulle rive del lago sorgono numerosi accampamenti di fortuna costituiti da yurte, che offrono ospitalità, per pochi soldi, ai viandanti.
Attraversate le catene montuose tibetane si arriva in una steppa ondulata dove si incontrano solo pastori tibetani, yak, pecore e capre. Cosa particolare è che l’allevamento delle pecore è indirizzato solo al consumo della carne e non alla produzione del formaggio che notoriamente non è molto gradito da quelle parti. Piatto tipico per cui è la pecora bollita, e latte e burro si consuma esclusivamente quello di yak.
Una parte di mondo questa, rimasta ancora vergine, anche se visitando alcuni monasteri ti accorgi che il progresso è arrivato anche qui. Molti monaci girano con i suv e con l’immancabile smartphone attaccato alla cinta, per cui tra una “girata alla ruota della preghiera” e un’ora di meditazione si ha anche il tempo per una telefonata, che come si sa allunga la vita.
Quando fui invitato dal Governo di questa provincia per realizzare un reportage non immaginavo la bellezza che avrei trovato, nei luoghi incontaminati e nelle persone socievoli. I tibetani sono persone umili, miti e gentilissimi, la cui indole contrasta con la rudezza della loro pelle. Loro misurano la ricchezza con il numero degli animali che compongono le mandrie, di cui molte enormi per numero di capi di bestiame. Non accumulano ricchezze, ne’ case, tutto quello che non è necessario alla loro vita quotidiana lo danno ai monaci, ma le nuove generazioni si discostano molto da questa tradizione.
Nelle varie diaspore millenarie molti popoli si sono spostati in questi luoghi come l’attuale minoranza mussulmana degli Hui, noti per la qualità del loro cibo. Attualmente credo siano loro che detengano le tre stelle Michelin per i loro piccoli ristorantini di strada. La loro cucina è nota per essere la migliore nella preparazione di pasta in brodo, tipo maltagliati, veramente eccezionali.
Tra i molti ricordi indimenticabile l’incontro avuto con una “monaca” che condivise con me il suo frugale pasto consistente in patate leggendarie, coltivate a cinquemila metri d’altezza, buonissime. Mi accolse nella sua casa, una semplice stanza riscaldata da una stufa a legna, ma da li si vedeva il mondo.