Sono dell’idea che se un progetto o una foto deve essere spiegata con didascalia non è un’immagine esplicativa, evocativa o facile alla lettura del linguaggio fotografico.
Comunque, questo racconto nasce dall’osservazione dell’uso o abuso che molto spesso si fa del corpo delle donne, anche in un certo tipo di “fotografia”, negando la libertà di scegliere con atti e preconcetti anche la propria sessualità.
In più, in questi ultimi anni, viene con forza drammatica portato alla luce dai media il fenomeno conseguente alla pubblica e doppia morale, che finge di non vedere la violenza quotidiana che purtroppo regola molti rapporti di coppia, quello del femminicidio; violenza estrema da parte dell’uomo per affermare potere e possesso sulle donna, come pratica estrema coercitiva anche nella scelta femminile del proprio ruolo sociale.
Frutto di una morale sessuofoba e di un’etica in balia di logiche commerciali che mostrano l’accoppiamento dell’essere femminile ad oggetti da vendere, confondendo ruoli sociali e trasformando la donna stessa, o peggio il suo corpo, in semplice oggetto da usare a proprio piacimento e come merce di scambio e di compravendita.
Deleteria questa deriva sessista che porta in se i germi di violenza e predominio contro la possibilità della donna di decidere i propri comportamenti anche quelli sessuali, con libera determinazione e piena autonomia. Per cui possiamo ripartire anche da una idea mediana di sessualità e di normale “fisicità” femminile.
Perbenismo e doppia moralità, soliti granelli di polvere nel meccanismo di emancipazione.
Claudio Brufola