Elisa

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Come spesso accade per via della mia professione, ho modo di conoscere molte persone, alcune interessanti ed altre meno.

Ultimamente ho conosciuto la dolcezza fatta persona, cioè Elisa Toffoli, in arte semplicemente Elisa.

Come sempre prima di qualsiasi lavoro mi documento per essere poi in grado di mostrare al meglio quello che ritengo sia la persona o il personaggio da fotografare, approfondire rapidamente per capire con chi hai a che fare e ovviamente mostrare la tua idea in proposito, cercando di dare sempre la tua visione del mondo, il tuo modo di mostrare i sentimenti e le storie per i lettori attraverso i tuoi filtri culturali.

Bene, leggendo la vita, la storia di Elisa e i suoi innumerevoli successi professionali ne rimani spaventato per la quantità e la qualità dei riconoscimenti artistici che, in campo nazionale e internazionale ha “accumulato” nella sua splendida carriera. 20 anni come cantautrice hanno visto: 9 album in studio, 5 compilation, 2 album dal vivo 5 album video, 51 singoli e video musicali, vendendo quasi 4 milioni di dischi. Ha ottenuto tutti i premi e i riconoscimenti che un artista musicale potesse meritare, eppure…

Eppure un artista di questa levatura ha la semplicità e la trasparenza d’animo di una donna come ne vedi poche in questi ambienti, diciamo un prodigio, cosa rara. Una ragazza limpida.

Piccolina fisicamente, ma con una personalità imponente, si distingue per la concretezza e la profondità nell’argomentare, forse la sua terra natia ne ha plasmato il carattere . Insomma mi ha affascinato, non fosse altro per il suo sorriso, veramente contagioso, ma attenzione a non fraintendete le sua delicatezza, resta pur sempre un’orgogliosa friulana.

La vita è una figata!

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Questo è lo slogan che campeggia sulla pagina web di Beatrice Vio, detta Bebe.

Uno scricciolo di ragazza, poco più che ventenne, che per qualche ora trascorsa assieme mi ha ricordato quali sono le cose che contano nella vita, quali sono i valori da perseguire con impegno.

Non avrei immaginato di dover prendere  “lezioni di vita” e poi da una “ragazzina”; invece è andata proprio così.

Con l’incarico di fotografarla per il magazine La Freccia, ho avuto l’opportunità di ascoltare i suoi pensieri, sulla vita in generale, sulla sua particolare storia e conoscerne i suoi progetti.

Sapevo che fosse una ragazza “cazzuta”, ma fare la sua conoscenza direttamente è stato come scoprire nuovamente il gusto della vita vissuta con passione, quella passione che solo una giovane di vent’anni ti può sbattere in faccia.

Per cui sei li preso ad ammirare il suo coraggio e la sua determinazione, ascoltando le sue idee e le sue interpretazioni sulla carta dei valori, che sciorina a ripetizione, fondate su esperienza diretta e non per sentito dire, frutto di molte sofferenze e di altrettanti strabilianti successi personali, sia nella vita quotidiana che nello sport, essere incantato ad osservare mentalmente le meravigliose immagini da lei vissute alle ultime olimpiadi che hanno scandito questo ultimo periodo della sua vita; la vita della campionessa di scherma italiana più amata e non solo su i social.

Due ore trascorse intensamente e con felicità.

Felicità è il termine giusto per descrivere la sensazione che ho provato ricevendo tante impressioni positive e averne poi ripreso coscienza, è stato un rigenerare passioni sopite e mai spente .

Ascoltando Beatrice conversare è stato come aprire una finestra di approfondimento su i tantissimi ragazzi che lottano per il loro futuro con impegno ed entusiasmo, giovani che non amano parole come indifferenza e cinismo, giovani a cui  il nostro sostegno non dovrebbe mai mancare, sia come individui che come famiglie.

Tenace, grintosa, determinata, ma con un sorriso che affascina, cosi si potrebbe definire questa campionessa che è un esempio di vita per i nostri figli e per chi crede che “la vita è una figata”.

L’uso concettuale della fotografia d’autore per la copertina di un magazine commerciale.

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L’uso commerciale della fotografia ha sempre contraddistinto aziende, prodotti o servizi che devono essere pubblicizzati al grande pubblico.

Sembra banale affermare che la fotografia deve trasmettere con immediatezza “l’immagine” che vogliamo comunicare di un prodotto , ma i concetti che sono dietro alla scelta di una foto anziché un’altra e i significati che attribuiamo a una immagine per caratterizzare il messaggio che vogliamo dare attraverso di essa, possono fare una grande differenza.
Le caratteristiche che rendono memorabili una fotografia sono sempre al centro di commenti e interpretazioni disparate, ma le fotografie che si ricordano hanno tutte in comune un quid che le rende diverse e condivisibili, certamente differiscono dalle altre perché non contengono mai tecnicismi amatoriali e hanno la capacità innanzitutto di raccontare: questo è il primo aspetto veramente decisivo e irrinunciabile.
Le immagini fotografiche hanno un senso quando raccontano una storia, quando affermano l’esistente in modo univoco, ne testimoniano l’essenza in un istante, quando l’emozione ha il sopravvento su tutti gli aspetti tecnici e compositivi,  lasciando così a chi la osserva un messaggio che possa essere recepito dalla maggior parte degli osservatori, attraverso segni universali.
Roland Barthes affermava che “La fotografia rende presente un evento passato” e nell’uso commerciale della fotografia dobbiamo mettere a frutto un evento passato per renderlo presente, non come memoria storica o documentale, ma come chiave per accostare attraverso la sensazione di un ricordo, un’emozione ad un prodotto.

Cosa non facile.
“Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate”.

Questa bellissima riflessione di Diane Arbus introduce quello su cui voglio rapidamente riflettere, ovvero il mondo del vino raccontato per immagini.

Illustrare per immagini, raccontare fotograficamente questo mondo non è semplice.

Ovviamente, non volendomi inoltrare nella spinosa e inutile distinzione tra fotografo e artista,  devo sottolineare che questo settore trabocca di stereotipi. Parlando di vino la prima immagine che viene in mente è la bottiglia, il bicchiere preferibilmente tenuto in mano, un volto meglio se con bicchiere.

Quando tempo fa un editore mi chiese di raccontare una quarantina di aziende vinicole, debbo dire che fui fortunato, mi diede carta bianca e approfittando di questa inaspettata libertà interpretai queste realtà imprenditoriali senza bicchieri mezzi pieni.

Ebbene, fu un grande successo fotografico ed editoriale: guardandolo oggi con soddisfazione, mi rendo conto che fui precursore di uno stile, di un modo nuovo e originale di raccontare il vino e la “gente del vino”.

Partendo dal semplice concetto che dietro ogni azienda ci sono persone, adeguai lo storytelling editoriale alla mia idea di fotografia. Seguirono altre pubblicazioni fotografiche che, sempre rappresentando idee e concetti piuttosto che cose e fatti, anticipando i tempi,  mettendo  il concetto prima del risultato estetico della stessa fotografia. Ma questo è il mio stile.

Finalmente arrivo al concetto legato alla copertina della rivista.

Qualche giorno fa mi sono state chieste fotografie per illustrare  la copertina di “La Freccia Gourmet”, un numero speciale dedicato al prossimo Vinitaly di Verona.

Dovendo pescare dal mio archivio non ho potuto che selezionare e proporre immagini realizzate con questo approccio e questo stile, pur ritenendolo poco “commerciale” e quindi teoricamente non in linea con il linguaggio solitamente utilizzato per questo tipo di manifestazioni. Inaspettatamente e piacevolmente il Capo Redattore e il Direttore hanno compreso lo spirito e ne ha apprezzato il messaggio, senza bisogno di spiegazioni, da veri gourmet dell’immagine.

Qui potete vedere una selezione delle sette immagini proposte: su quale cadrà secondo voi la scelta?

[Clicca sulle immagini per sfogliare le anteprime delle cover]

Introducing Alessandra

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RACCONTARE UN PROFESSIONISTA PER IMMAGINI

Lavoro con Alessandra da oltre tre anni. Abbiamo studiato insieme come usare la fotografia per raccontare le persone, in comunicazione, laddove non si devono presentare prodotti ma trasmettere il valore invisibile della professionalità, della competenza, dell’anima.

Per la sua presentazione istituzionale, ho scelto di lavorare sul volto e sulle espressioni, dove alternando sguardi diretti e distolti, sorrisi e pensieri, nitidezza e sfocato, ho voluto rappresentare il suo mondo e il suo modo di essere.

Fotografia, un ripensamento è doveroso.

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In un mondo in cui la fotografia è sempre più mezzo di cultura, un’espressione figurativa-evocativa  capace di concentrare ed esprimere le peculiarità di una cultura nazionale, le sue tradizioni e le storie delle sue genti va sicuramente ripensata, salvaguardata e tutelata.

Così dovrebbe essere, se riteniamo che fotografia non sia solo arte nel peggiore dei casi.

In questi ultimi anni la trasformazione sociale e mediatica ha portato esperienze espressive inimmaginabili, grazie alle piattaforme sociali di dialogo e comunicazione.

Molte discipline artistiche, compresa la fotografia,  si sono trasformate e adattate a nuovi linguaggi, in primis a quelli virtuali, che hanno piegato concetti e metodi comunicativi alle esigenze commerciali dei colossi della comunicazione come Facebook.

Dopo anni di evoluzione, o meglio trasformazione digitale, osserviamo un mondo molto diverso dove l’uso dei pensieri e dei concetti espressi attraverso l’arte visiva,  segna degli innegabili progressi culturali e contemporaneamente una regressione espositiva ed espressiva. Ogni analisi sociale o culturale attorno alla fotografia, fa innanzitutto riferimento ai mezzi espressivi tout court, difficilmente si spinge avanti tentando di ripensare l’uso proprio di arte, di mezzo divulgativo, di uso sociale ed anche economico.

Tralascio le solite affermazioni tipo, chi è oggi il fotografo, l’approccio del fotografo con i social-media, chi fa selfie non fa arte, solo i sacerdoti della verità sanno fare fotografia.

Possiamo dunque immaginare ancora un uso sociale della fotografia come fu nel secolo scorso ?

Qual’è lo stato dell’arte delle attuali discipline fotografiche ?
Questo sarà il tema del prossimo articolo che porrò alla vostra attenzione.

Ma prima voglio porre alla vostra attenzione dei dati interessanti sull’informazione in genere, che molto hanno a che fare con la comunicazione e la fotografia.

Ritengo questi dati necessari per comprendere  come il cambiamento culturale nella fruizione delle informazioni cambi anche  il modus operandi di chi si approccia poi alla fotografia odierna.

Il Reuters Institute Digital News Report 2016 traccia un’analisi interessantissima del come si utilizzano le notizie, un report molto complesso che illustra il sistema informativo e di come cambia il sistema di accesso alle informazioni stesse.

Il 51% degli internauti utilizza i social come fonte di di informazione e Facebook ne è di gran lunga il più usato . Interessante anche approfondire questo fatto per fasce d’età che vi risparmio, ma che intuirete. Il 53% lo fa attraverso lo smartphone. Inutile sottolineare le perdite economiche dei media tradizionali, ciò avviene in ben 26 differenti paesi in esame.

Dato curioso che emerge per il 78% degli intervistati è che preferisce leggere le notizie in forma testuale che tramite immagini o video. I principali motivi  per non guardare i  video sono che trovano la lettura di notizie più veloce e più conveniente (41%) e per il fastidioso  pre-roll pubblicitario (35%).

La sorpresa nei dati di quest’anno è che il video di notizie online sembra crescere più lentamente di quanto ci si potrebbe aspettare. In tutti e 26 paesi solo un quarto (24%) degli intervistati afferma di accedere ai video di notizie on-line in una determinata settimana. Il consumo di video è più alta negli Stati Uniti (33%). Al contrario, la media europea ponderata dimostra che meno di un quarto

(22%) utilizza video notizie in una settimana con alcuni dei livelli più bassi in Danimarca (15%) e Paesi Bassi (17%).

Un dato certo è che le donne sono più pigre degli uomini, a loro basta Facebook per leggere notizie, non vanno a vedere la fonte delle stesse su i siti web che le distribuiscono.

In Italia su 60 milioni di persone, solo il 62% ha accesso a Internet, siamo in Europa il popolo che guarda di più la televisione. Circa il 90% dei ricavi sono in mano a tre aziende: Sky Italia,  Mediaset, e RAI.

La fiducia nei confronti dell’informazione tradizionale è riconfermata: i maggiori player  dell’editoria nazionale che hanno spostato la propria attività molto all’online li troviamo così messi: La Repubblica (33%), Il Corriere della Sera (21%), il Sole 24 Ore (16%) e La Stampa (16%) che si dividono gran parte dell’offerta informativa online lasciando poco spazio agli altri.

Il mondo cambia radicalmente e molto in fretta, per cui anche la fotografia sta cambiando parimenti, ma la velocità è tale che nessuno azzarda previsioni, i futuri scenari sono incomprensibili, la rivoluzione in cui siamo immersi è sconvolgente, neanche gli esperti e gli investitori sanno bene che pesci pigliare, tant’è che in assenza di previsioni attendibili gli investitori “aspettano” e non investono neanche nel breve periodo con conseguenze pesantissime in questo settore, con l’Italia ancor più penalizzata dal resto dell’Europa.

Cambiamento positivo ?

Bubble filter è il vero problema?

La stessa Reuters afferma che  rallenta la creazione delle opinioni personali perché le riconduce in ambiti privati senza confronto costruttivo. Paradossalmente siamo più connessi di un tempo, ma è come se non lo fossimo. Per cui la “chiacchiera da bar” diviene formativa , premesso che il bar attragga persone con idee ed  opinioni valide ed accattivanti.

Per approfondire: http://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/sites/default/files/Digital-News-Report-2016.pdf

Claudio Bru

Caro Mark, devi rispettare anche in Italia, la legge sul diritto d’autore.

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Facebook, cancella deliberatamente i dati Exif che attestano la proprietà intellettuale sulle tue fotografie non rispettando la legge italiana sul diritto d’Autore.

Sapete tutti che basta un accenno di capezzolo in una fotografia che i signori delle libertà, i paladini della democrazia universale, ti bacchettino con il loro falso moralismo intriso di etica bacchettona che apparentemente vorrebbe tutelare virtù virtuali e dall’altra parte fa mercimonio di tutto il possibile anche contro i tuoi diritti.

Come ben sapete, ogni volta che caricate una vostra fotografia su Facebook, succede che dovreste perdere ogni diritto nei confronti dell’azienda statunitense che controlla il servizio di rete Facebook, la Facebook Inc. appunto.

I giudici del Tribunale di Roma hanno stabilito ultimamente che la pubblicazione delle foto sui social “non comporta la cessione integrale dei diritti del fotografo sulla sua opera”, per cui è risarcibile sia il danno patrimoniale che quello morale. Ribaltando il concetto che Facebook vorrebbe, questa sentenza del 2015 del Tribunale di Roma, afferma che spetta a chi usa le fotografie provare che non sono coperte dal diritto di proprietà intellettuale e non viceversa.

E qui la cosa può essere accettata in quanto questo servizio è regolato da un contratto tra voi e questa azienda dove, nelle note che avete sottoscritto, appare chiara questa clausola.

Facciamo un passo avanti.

Quello che non è citato nel contratto da voi sottoscritto ed è una cosa veramente scandalosa è che questi signori fanno abuso delle vostre opere fotografiche, ovvero cancellano tutti i metadati che contraddistinguono le vostre produzioni e che identificano la proprietà intellettuale della vostra fotografia come opera d’ingegno, assicurando inoltre la non riproducibilità, senza vostra autorizzazione, delle fotografie e la conseguente prova della paternità del vostro lavoro.

EXIF, IPTC e XMP i metadati utilizzati e inclusi nel file che software grafici riconoscono.

Il metadato è un termine che intende le informazioni descrittive incorporate all’interno di un’immagine o un altro tipo di file. I metadati sono importanti in questa era di fotografia digitale dove gli utenti sono alla ricerca di un modo corretto per memorizzare le informazioni e affermare l’autenticità delle loro immagini.

I metadati sono le informazioni extra che le fotocamere digitali imprimono nelle fotografie che vengono realizzate.

I metadati catturati dalla fotocamera sono chiamati dati EXIF, che sta per Exchangeable Image File Format.  La maggior parte di software fotografici digitali sono in grado di visualizzare le informazioni EXIF per l’utente, di solito non è modificabile.

Questa è una garanzia contro la pirateria informatica e nel rispetto del diritto d’Autore tutelato dalla legge italiana (o dovrebbe quanto meno esserlo).

In Germania, paese avanzato rispetto a noi sudditi italiani, un collega Rainer Steußloff, in un comunicato stampa dell’associazione dei fotografi tedesca FreeLens,  ci informa che ha intentato una causa contro Facebook per lo stripping automatico dei dati EXIF, in particolare lo standard IPTC delle immagini quando sono caricate sul social in questione.

Steußloff ha sostenuto che questa pratica viola apertamente il diritto d’Autore tedesco, e quindi Facebook deve cessare di applicare tale pratica..

In una sentenza del 9 febbraio scorso, la Corte tedesca ha decretato la sentenza di condanna contro questa pratica e dal momento che sono trascorsi sei mesi e Facebook non ha contestato la sentenza, il giudizio è considerato definitivo.
Cosa significa

Questa sentenza è specifica ovviamente per la sola Germania, ma Facebook è ora vincolata dal diritto tedesco a cambiare il suo meccanismo di upload altrimenti incorre in sanzioni fino a 250.000 euro ogni volta che un fotografo tedesco fa causa per questi motivi.

E in Italia? Il nulla.

Sollecitiamo, con una petizione, a impegnare l’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) a fare rispettare anche in Italia il diritto d’Autore non alterando i dati identificativi delle nostre FOTOGRAFIE chiedendo di applicare la delibera 680/13/CONS.

Con la Delibera 680/13/CONS è stato approvato il “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”.

SE TI INTERESSA CHE VENGA SALVAGUARDATO IL DIRITTO D’AUTORE DELLE TUE FOTOGRAFIE
PARTECIPA ALLA NOSTRA PETIZIONE

Sharing Photography, nel mondo della fotografia si è anticipato di anni la Sharing Economy.

REPUBBLICA DEL CONGO

Benita Matofska ne sa di molto di quello che “the people who share” ed afferma: “The Sharing Economy is a socio-economic ecosystem built around the sharing of human, physical and intellectual resources. It includes the shared creation, production, distribution, trade and consumption of goods and services by different people and organisations”.

Possiamo sostenere che la sharing economy (o anche economia collaborativa)è un’economia mista che tende a superare il tradizionale sistema di scambio come quello che conosciamo ancora, cioè prestazione in cambio di denaro, invece questa nuova economia vede un beneficio in una varietà più sfumata di forme di scambio, riscoprendo forse leggi antiche che li pone come “processi di creazione del valore” nuovi.

La sharing economy pone in discussione il concetto stesso di proprietà, non escludendo quella intellettuale, quella professionale. Forse un adeguamento al basso.

Una nuova accezione di valore commerciale, non solo materiale e/o finanziario, ma anche e forse declinato come immateriale, ad esempio sociale ed ambientale.

Per cui la crisi economica dei ceti medi, o forse la maggiore attenzione ambientalista a non sprecare ciò che si possiede, sta di fatto che questo concetto di l’economia di condivisione incoraggia a condividere appunto e ad usare le risorse in modo intelligente e senza sprechi.

Ognuno può approfondire il significato economico e sociale informandosi su due noti esempi: Uber e Airbnb.

Questo sistema di consumare “eticamente” spinge le persone ad impegnarsi in attività produttive tradizionalmente di competenza delle imprese o di professionisti.

Per cui, io possessore di fotocamera perchè dovrei rivolgermi ad un professionista della fotografia ? Faccio da me, e creo una nuova figura di fotografo con conseguente nuovo linguaggio e do adito ad un immaginario collettivo che si adegua a nuovi schemi logici, a nuove letture a nuovi segni fotografici; ecco dunque apparire foto ritratti di ragazze esangui colte all’imbrunire in boschi con pozze d’acqua e con faccine bianche e lentigginose. Per chi segue i social sarà semplice cogliere le nuove tendenze artistiche su come “fotografi who share” espletano la “sharing photography”.

E come tutti i processi di new economy anche la sharing photography crea nuovi orizzonti, nuovi mercati e nuovi soggetti che producono, consumano e si adattano al ciclo futuro di questa “arte economica di risparmio globale” adeguando richieste e compensi alle loro prestazioni, sia come sharing photography che come sharing soggetti, o sharing modelle, e financo sharing aziende e chi più ne ha più ne inserisca.

Dunque “the people who sharing” distribuiscono e ridistribuiscono le risorse con un sistema efficiente e “low price” su scala globale, ma anche ovviamente a livelli locali o nazionali.

Il concetto è che il pianeta è al centro del sistema economico e la creazione di valore avviene con le risorse ambientali disponibili, cioè con quello che c’è o quello che hai (la qualità dei prodotti o servizi è cosa da poco).

Condividere i beni allocati e disponibili tra i tra cittadini, le popolazioni è lo scopo ultimo, ridistribuendo economicamente il potere di processi decisionali, con un nuovo sistema democratico che incoraggi la partecipazione di massa creando una nuova cultura di prodotto/servizio condiviso, sostenibile e orientata al futuro.

Sciaguratamente non solo il mondo della fotografia segue questa crisi di tendenza, ma tante altre professioni, ne cito una per molte: il giornalismo. Leggere per credere. E’ ormai da tempo, specialmente su testate online, che chiunque sappia individuare le lettere sulla tastiera viene promosso divulgatore per cui legittimato a dire qualsiasi cosa gli passi momentaneamente per il capo, da ciò avrete notato che abbiamo vagonate di opinionisti di ogni specie ed in ogni settore dello scibile umano. Cosa non si fa per riempire spazi vuoti a basso costo.

Parafrasando il concetto e dunque adattandolo al settore fotografico, la “sharing photography” incentiva i cittadini-consumatori divenuto il fotografo-fotografato, non più tanto a possedere beni nuovi, quanto piuttosto ad ottimizzare e condividere quelli già posseduti e usufruire in tal modo, in un’ottica di sostenibilità e convenienza reciproca, di quelli altrui, come ad esempio la “competenza”.

I filosofi ottimisti affermano che l’innovazione non è mai di per sé deleteria ed anche il vecchio, se si rinnova e non si adagia sul passato, può starne al passo e trarne importanti benefici.

Concetto che io condivido pienamente e sostengo a spada tratta, a patto che questa innovazione, vada verso un reale progresso e uno sviluppo eticamente sostenibile, non vorrei proprio tornare ai tempi del baratto e della peste nera.

Il divano

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La fotografia diventa evento.

Un divano, un set, in un grande centro ottico di Roma.

Le persone che giocano e recitano una parte. L’esperienza di farsi fotografare diventa parte integrante dell’emozione che rimane con la fotografia.

Perchè anche un evento, immortalato da un obiettivo, diventa creare un ricordo.

La storia è sempre quella.

REPUBBLICA DEL CONGO
REPUBBLICA DEL CONGO
ENI OFFSHORE GAS OIL PLATFORM

La storia è sempre quella.

Alle bombe stragiste dei servizi deviati, al terrorismo dei gruppi armati, oggi si sono sostituite altre

tecniche, meno truculente ma altrettanto efficaci per impedire il cambiamento e le necessarie riforme di

sistema. Ma molti non apprezzano il cambiamento, loro vivono bene in questa palude.

Ogni qualvolta si prova a cambiare, a mettere mano a privilegi, a intaccare il potere economico e

finanziario che si alimenta sullo stato di fatto, sulla arretratezza sociale e culturale del nostro paese,

scattano immediatamente le contromisure di quelle mille famiglie che vivono di rendita sulla nostra

complicata vita di sudditi e che decidono della nostra esistenza e del nostro futuro.

Purtroppo ho vissuto gli anni delle stragi di stato, degli anni di piombo, del terrorismo che determinarono

l’involuzione e la barbarie della guerra civile che costrinsero l’Italia ad un periodo di oscurantismo contro

chi invece lottava per una vita migliore. Oggi vedo la stessa situazione.

La memoria degli italiani è labile.

1973, inizio della crisi energetica dovuta sempre alla situazione mediorientale. Guerra del Kippur, attori:

Egitto, Siria, Israele. Il petrolio, sempre il petrolio.

1979, altra crisi energetica, ma stavolta lo shock petrolifero fu provocato dalla rivoluzione islamica in Iran e

dalla guerra tra Iran e Iraq di Saddam Hussein del 1980.

i problemi energetici divennero problemi di disoccupazione: l’energia fu la causa della crisi economica degli

anni settanta.

Il buio delle città, per la seconda volta in dieci anni, dopo la prima crisi del 1973, mostrava la dipendenza

delle importazioni di petrolio.

L’occidente capì bruscamente la necessità di autonomia energetica.

Sarà proprio il risparmio energetico, insieme al picco dello sviluppo nucleare, a permettere ai Paesi

Occidentali di trattare con il cartello OPEC, poiché gli emiri arabi investivano abitualmente nelle borse

occidentali.

L’obiettivo dell’Italia era quello di mantenere competitive le esportazioni, come oggi del resto.

Assistemmo in quegli anni alla radicalizzazione delle lotte sindacali, a una accentuata instabilità dei governi,

alla recrudescenza del terrorismo. I cambiamenti che interessarono l’Italia si dimostrarono deleteri

riaffermando il paese dei “cento comuni” con divisioni sociali, politiche, che fecero della precarietà politica

la nostra bandiera. Nessun orgoglio in noi, per chi potremmo essere se fossimo un popolo unito, ma

sappiamo dalla nostra storia che il motto “dividi et impera” per noi meschini è sempre adatto.

Noi italiani siamo geneticamente tarati per la forza centrifuga, per essere aizzati alla divisione e non al

dialogo, mai e poi mai alla unità di intenti, ad un sano orgoglio nazionale. Siamo dediti alla deleteria pratica

del dileggio, del cercare il nemico in casa, e basta un guitto che indichi la luna e noi tutti li, a belare.

Leggere, documentarsi, acquisire conoscenza , trovare soluzioni condivise, sembra utopia.

Citando il titolo, appare chiaro come la storia si ripeta.

Gli strumenti, le armi oggi a disposizione, per chi si oppone al cambiamento, non sono più le bombe ( a

quelle ci pensano gli jihaidisti di turno) ma strumenti appartenenti alla comunicazione e all’informazione, o

meglio alla disinformazione strutturata e permanente.

In un mondo iperconnesso, attribuiamo maggiore valore ai contenuti che si adattano bene al nostro modo

di pensare, scartando l’idea di riflettere e di verificare. Vale di più la struttura dei contenuti veicolati che i

contenuti stessi. Ecco dunque il sistema che si costituisce e si sostituisce agli “eversori materiali”, gli

architetti della comunicazione pervasiva sono li a progettare le macchine del fango che inondano la vasca

della nostra coscienza.

Fotografia e memoria

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Emanuele è un giovane fotografo che spesso ho il piacere di ricevere nel mio studio, come molti giovani fotografi è pieno di passione ed energia che ancora non sa bene dove indirizzare per esprimere pienamente la sua voglia di raccontare, di osservare il genere umano.

Ieri si discuteva di pellicola e di stampa, al che ho voluto mostrargli alcuni lavori che componevano una mostra fotografica di alcuni anni orsono.

Stampe in fine art, puro cotone, realizzate con metodo Digigraphie.

Dopo il quarto “bellissima questa immagine” mentre sfogliavamo questi ricordi di carta, mi dice che sono un egoista, che devo mostrare i miei lavori ai giovani, “loro” devono vedere, devono imparare.

Bene, accontentato.

Hedy è il soggetto di questi scatti, per chi non la conosce professionalmente, è la migliore fotomodella italiana.

Questa serie di fotografie vorrei che fossero lette come un riassunto della nostra conoscenza, vorrei essere stato capace di restituire un ritratto intimo ripreso da un punto di vista privilegiato, ossia quello dell’amicizia che vanto con lei ormai da anni.

“Quasi bella, aveva lievi difetti che ne aumentavano il magnetismo. Le sopracciglia formavano una linea continua che le attraversava la fronte e la bocca sensuale era sormontata dall’ombra dei baffi. Chi l’ha conosciuta bene sostiene che l’intelligenza e lo humour di Frida le brillavano negli occhi e che erano proprio gli occhi a rivelarne lo stato d’animo: divoranti, capaci di incantare, oppure scettici e in grado di annientare. Quando rideva era uno scroscio di risa profondo e contagioso che poteva nascere sia dal divertimento sia come riconoscimento fatalistico dell’assurdità del dolore». Hayden Herrera, nella biografia descrive così l’aspetto e il carattere della pittrice messicana Frida Kahlo.

Descrivere Hedy, accostandola a Frida Kahlo, lo ritengo il modo migliore per rendere un tributo alla sua capacità espressiva di interpretare l’arte, con il suo corpo.